Operazione “500 Cash”


La Polizia di Stato di Taranto ha dato esecuzione ad un´ordinanza applicativa di misure cautelari personali (5 di custodia cautelare in carcere e 8 di arresti domiciliari), disposte dal Giudice nei confronti di tredici soggetti, gravemente indiziati, a vario titolo, di associazione a delinquere finalizzata al furto di autovetture, ricettazione, riciclaggio ed estorsione.
L´ indagine ha preso avvio nel febbraio 2018, sulla scorta di numerose denunce di furti di auto consumati nel capoluogo e nella provincia di Taranto, ed ha consentito di accertare l´operatività (sino a tutto il giugno 2018) di un´articolata organizzazione operante principalmente nella provincia di Taranto (ma con episodi delittuosi rilevati successivamente anche nelle province di Brindisi e Lecce), dedita alla commissione di plurimi reati contro il patrimonio, prevalentemente furti di autovetture di ultima generazione (Fiat 500, Fiat Panda, Lancia Y e Land Rover “Evoque”), ricettazione e/o estorsione nei confronti dei legittimi proprietari (c.d. “cavallo di ritorno”).
Tale associazione, vantava la disponibilità non solo di mezzi, infrastrutture, arnesi ed attrezzi utili allo scassinamento delle autovetture, ma anche di centraline elettroniche di autovetture di ultimissima generazione, di locali ove custodire i materiali necessari a compiere i furti, oppure ove parcheggiare provvisoriamente i veicoli rubati, di figure professionali di comprovata esperienza (meccanici e carrozzieri). Un´associazione in grado di porre in essere numerose operazioni illecite – al punto da indurre uno degli indagati a sostenere “… taglia le macchine e le portiamo…ogni giorno ne porto una!”).
A fianco alla figura dei capi – soggetti dall´elevata caratura criminale, che decidevano le operazioni illecite da compiere, tenendo le fila delle trattative con le vittime delle estorsioni e con le figure professionali che cooperavano per il riciclaggio delle vetture rubate, e talvolta chiamati pure ad appianare piccoli contrasti insorti tra i vari membri in ordine alla spartizione dei profitti-, si ponevano altri soggetti (fra cui anche una donna, non destinataria di misura) che collaboravano nei furti e nella gestione dei “cavalli di ritorno”, ed il cui contributo era tuttavia indispensabile in vista della realizzazione dei vari colpi pianificati dai vertici. In tutto i soggetti individuati ed indagati sono 22.
Le conversazioni intercettate risultavano connotate da un´elevata allusività, ricorrendo gli indagati alla loro “codificazione” o “criptazione”, adoperando espressioni simboliche, come ad esempio il termine «ragazze» per indicare le vetture rubate, o «vendita» per alludere all’operazione del “cavallo di ritorno”.
A proposito di quest´ultimo aspetto dell´indagine, in alcuni casi le vittime denunciavano il furto della propria autovettura, per poi, a distanza di qualche giorno, segnalarne l’avvenuto “rinvenimento” sulla via pubblica. Circostanza che ha destato, ovviamente, sospetto. Le indagini hanno in effetti consentito di appurare in più casi che l´auto di cui veniva denunciato il furto si trovava nella disponibilità degli indagati – i quali provvedevano poi a spostarla e collocarla nel luogo ove poi il proprietario la ritrovava -, e che le persone offese si mettevano in contatto (il più delle volte tramite parenti o persone amiche) con gli stessi indagati; il che ha dato prova di come la vettura venisse fatta ritrovare a fronte del pagamento di un riscatto.
Le auto venivano consegnate, presso alcuni depositi/officine della provincia in fasce orarie in cui, complice il buio minore era il rischio di incorrere in controlli su strada.
Il trasferimento dei veicoli avveniva in maniera talmente veloce ed attraverso plurimi soggetti, che in una circostanza – in cui ad essere stata derubata era stata l´auto della moglie di un noto pregiudicato per associazione di tipo mafioso -, seppure gli indagati abbiano cercato di recuperare e restituire l´auto (nel frattempo già trasferita altrove, presumibilmente a Brindisi) non riuscivano più nell´intento.
In un altro caso, invece, gli indagati sono stati a loro volta vittime di aggressioni e minacce da parte di altri soggetti del quartiere Paolo VI di Taranto (a loro volta indagati), i quali recriminavano il patito furto dell’autovettura di un loro congiunto subito l’anno prima, pretendendo la restituzione del corrispettivo in denaro o, in subordine, la consegna di una “nuova” autovettura, minacciando pesanti ritorsioni. A seguito dell’intermediazione di un “garante”, colui che era ritenuto responsabile del furto otteneva il favore di estinguere ratealmente il “debito”, il cui pagamento veniva comunque più volte sollecitato attraverso diverse intimidazioni (con percosse e persino con la minaccia di una pistola).
Talvolta le auto venivano invece vendute direttamente dagli indagati. È il caso di una 500 “Abarth” che veniva promessa ad un soggetto al prezzo di 1500 euro, salvo poi interrompere le trattative essendosi optato nuovamente per il solito “cavallo di ritorno”.
Il gruppo di indagati possedeva anche delle armi. Il 23 aprile 2018, veniva effettuata una perquisizione locale all’interno dell’abitazione di uno degli indagati nonché di un locale box a lui riconducibile, rivenendovi una pistola clandestina completa di cartucce cal. 7,65, oltre che (a conferma delle attività illecite del gruppo) un quantitativo ingente di arnesi atti allo scasso, centraline modificate per l’avviamento di autoveicoli ed altri oggetti di certa provenienza furtiva prelevati dall’interno delle tante autovetture rubate.

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